Una ricerca appena pubblicata sulla rivista dell’Accademia nazionale delle scienze statunitense (Pnas) ci dice che cittadini veramente felici sono quelli a cui il Paese regala le migliori politiche di welfare
L’Accademia nazionale delle scienze statunitense (Pnas) ha recentemente pubblicato uno studio sul benessere degli abitanti in dieci Paesi europei. Il risultato lascia abbastanza sorpresi, sia per il posizionamento dell’Italia, sia per le conclusioni generiche: lo stato di benessere dei cittadini si sta lentamente slegando dal lato prettamente economico, dal Pil e dalla crescita del tessuto produttivo e si appresta a divenire sempre più dipendente dalla generosità dei programmi di welfare. Gli autori dello studio, Richard Easterlin, professore di Economia all’Università del Sud della California, e Kelsey O’Connor, ricercatrice dell’Istituto nazionale di statistica e studi economici del Lussemburgo, hanno dimostrato che quanto più viene investito nel welfare in un Paese, tanto più i cittadini si ritengono felici.
Questo stona anche con i parametri di valutazione del “benessere” di un Paese che, ancora oggi, restano prettamente economici: il Pil, la crescita, il debito pubblico e via discorrendo.
«Il superamento del Pil come misura del benessere reale di una nazione è un tentativo che si sta facendo da almeno 20 anni ma nessuno degli indici alternativi proposti finora è stato istituzionalizzato. Due di questi sono stati elaborati dal Centro Wittgenstein per la demografia e il capitale umano globale di Vienna con la collaborazione dell’università Bocconi. Il primo è l’indicatore “Years of good life” che tiene conto dell’età media di sopravvivenza, dell’assenza di povertà e di disabilità fisica e cognitiva e della soddisfazione generale per la propria vita. Il secondo, invece, misura soltanto l’aspettativa di vita dando, a parità di durata, un peso maggiore al tasso di mortalità infantile: un basso rischio di morte alla nascita equivale a un livello maggiore di benessere della popolazione. C’è poi l’indice di sviluppo umano adottato dalle Nazioni Unite, che si basa su aspettativa di vita, livello di istruzione e Pil pro capite», ha affermato Simone Ghislandi, professore di Economia pubblica dell’Università Bocconi di Milano.
Lo studio ha preso in esame: Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia e Spagna.
«..ha confrontato le risposte sul livello di soddisfazione ottenute in ciascun Paese da due indagini dell’European values study (programma di studio dei valori umani dei cittadini europei), quella del 1981-1982 e quella più recente del 2017-2018, misurando il cambiamento di benessere interno in relazione a quattro potenziali variabili: le condizioni economiche (Pil e tasso di disoccupazione), il capitale sociale (inteso come fiducia negli altri), le politiche di welfare dello Stato e la qualità dell’ambiente (esposizione all’inquinamento atmosferico)», scrive Chiara Daina sul Corriere della Sera.
La felicità dei cittadini di un Paese, dunque, è direttamente proporzionale al grado di evoluzione delle politiche di welfare e di protezione sociale. «Al vertice della classifica c’è la Spagna, dove la felicità dei cittadini è cresciuta di quasi un punto. Seconda l’Italia (con oltre mezzo punto in più), seguita da Francia, Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Gran Bretagna, Finlandia. Agli ultimi due posti Danimarca e Svezia, che hanno segnato addirittura una perdita di felicità (circa un terzo di punto in meno) causata, scrivono gli autori, da una sostanziale inversione di crescita del welfare», leggiamo ancora sul Corriere della Sera.
Da questo principio, da questi dati e da queste evidenze, Dc Group tenta di replicare il modello di welfare anche per i propri dipendenti, perché vale per noi un principio molto semplice, ma non altrettanto semplice da realizzare: un dipendente felice è un dipendente più attaccato all’azienda e produttivo!
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