Sostenibilità, inclusività, flessibilità. What a wonderful word(s)

Giugno 5, 2023

Il politicamente corretto a tutti i costi delle aziende di oggi sembra avere effetti controproducenti: molta teoria, poca concretezza. Le parole più gettonate – SOSTENIBILITÀ, INCLUSIVITÀ, FLESSIBILITÀ – spesso restano tali e non hanno una reale considerazione all’interno dei team di lavoro

Lo spunto per questo approfondimento parte da 2 direttrici: oggi, 5 giugno, ricorre la Giornata dell’Ambiente e le bacheche social delle aziende pullulano di post “verdi”, al grido di “Eliminiamo la plastica”, slogan ufficiale – e giustissimo – del Giornata 2023 dedicata al nostro ecosistema. Salvo poi rendersi conto che sono ancora le aziende a riversare un grande quantitativo di plastica nel nostro Pianeta, il più classico dei predicare bene e razzolare male. Ovvio, non parliamo del caso specifico: tante aziende celebrano giustamente la Giornata dell’Ambiente sui social e attuano coerentemente politiche sostenibili all’interno della loro organizzazione. Però, nei grandi numeri, il sistema si inceppa.

L’altra direttrice è un approfondimento apparso su “Il Sole 24 Ore”, firmato da Lorenzo Cavalieri, Managing director della società di formazione e consulenza Sparring

“Le belle parole spesso sono un analgesico che offre l’illusione della quiete – afferma – ma allontana un intervento risolutivo, peggiorando di fatto la situazione. Nelle grandi organizzazioni aziendali l’attenzione alla scelta delle “parole giuste” è sempre stata molto elevata, ma oggi assume tratti maniacali. Fino a qualche tempo fa si avvertiva la necessità di misurare le parole soprattutto per il timore che una frase infelice potesse scatenare azioni legali o vertenze sindacali. Oggi siamo oltre quel paradigma. In quella che è stata definita Società del piagnisteo (cfr. “La cultura del Piagnisteo, la saga del politicamente corretto”, Robert Hughes, Adelphi Edizioni), la società per intenderci in cui non si può bocciare a scuola e in cui tutti ci sentiamo discriminati per qualcosa, le aziende sono consapevoli che la propria reputazione tutti i giorni danza su un sottilissimo filo”.

In sintesi questa rincorsa delle aziende alla parola giusta e neutra che non può e non deve urtare nessuno è figlia del tempo. È ipocrisia linguistica, ma, in atesa di tempi diversi, sembra essere l’unica strada per non urtare il main system. Questa atteggiamento porterà dei frutti?

“Nessuno deve urtare la suscettibilità di nessuno – prosegue Lorenzo Cavalieri – e quindi il linguaggio deve essere sempre “inclusivo” e “non giudicante”. In linea teorica ovviamente nulla da obiettare. Siccome scrivere a un collaboratore che sta facendo male potrebbe deprimerlo dovremo scrivere “che i suoi obiettivi sono stati parzialmente raggiunti”. Siccome scrivere che c’è stato uno “scontro” tra team potrebbe rappresentare uno scenario di ostilità e scarso rispetto reciproco la parola “scontro” andrà sostituita con “confronto”. Siccome parlare di “errori” potrebbe risultare offensivo nei confronti di chi non è stato messo nelle condizioni di operare al meglio, è consigliabile sostituire “errori” con “punti di attenzione.”

Per quanto “ipocrita”, questo atteggiamento ricalca l’evoluzione o involuzione dei tempi, ma porta a grossi rischi. Cercare sempre di ammorbidire, smussare e utilizzare esercizi linguistici soft dà forza alle parole, ma indebolisce i fatti concreti. Per cui ci troveremo l’azienda che a livello di comunicazione predica la sostenibilità, ma a livello pratico ha costi insostenibili e continua a produrre plastica. La sensazione è che siamo in una terra di mezzo, un periodo transitorio che, prima o poi, porterà ad un cambio di rotta…

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