Il 34% dell’Italia è in smart working, ma la strada da fare è comunque tantissima.
“Work-life balance e gender gap. La vera sfida per il futuro del lavoro”, edizione 2021. In Italia 10 milioni di risorse sono in smart working, ma la qualità del lavoro in generale resta bassa. C’è molta strada da fare per il lavoro da casa, il lavoro ibrido e il lavoro in presenza.
Torna il Report di ricerca sull’analisi sulle sfide e le tendenze del mondo del lavoro dopo la pandemia: “WORK-LIFE BALANCE e GENDER GAP. La vera sfida per il futuro del lavoro”, giunto alla 12esima edizione e curato dal Prof. Valerio Mancini, Direttore del Rome Business School Research Center. La ricerca, rispetto all’edizione 2020, evidenzia la crescita esponenziale del lavoro agile, oltre che nel privato, anche nel settore pubblico, ma colloca ancora l’Italia agli ultimi posti tra i paesi industrializzati per la qualità dell’impiego.
Quest’anno il report della Rome Business School certifica che della forza lavora italiana, ben 10 i milioni di professionisti sono passati in modalità lavoro da casa, nel computo totale tra settore pubblico e privato. Se il dato sembra prefigurare un veloce adattamento “quantitativo” del nostro Paese al flexible working, la realtà è diversa: l’Italia agli ultimi posti tra i paesi industrializzati per la qualità dell’impiego.
Lo studio sottolinea che la percentuale di smartworker è arrivata al 34% sul totale degli occupati. La ripartizione tra pubblico e privato è così suddivisa:
- 7 milioni appartengono al settore privato;
- 2 milioni lavorano nella Pubblica Amministrazione.
Ma l’aspetto che più ci ha colpito è quello che certifica come il <<il 74% degli italiani ha l’imminente necessità di ricevere una formazione sulle potenzialità dello smart working e sulla digitalizzazione del lavoro” per tutelare il benessere personale e familiare e, affinché il lavoro agile sia una vera opportunità e non una condizione penalizzante e ancor più difficile da inserire in un contesto di vita familiare. Il 61% delle famiglie ritiene che il lavoro da casa debba essere riorganizzato lasciando al lavoratore stesso la possibilità di decidere se, quando e dove effettuarlo>>.
Lo studio ci riporta alla mente quanto avevamo affermato nell’articolo Dc Group dello scorso anno sul report, ovvero che la produttività, il benessere, l’autonomia di una risorsa deriva dalla capacità di assicurare ai lavoratori un equilibrio tra lavoro e vita privata e questo vale sia per il comparto pubblico che per la Pa.
Investire in Work-life migliora le prestazioni professionali e la produttività più di altre varianti, come l’aumento di salari e bonus, pensate quanto incide nella testa di un lavoratore la consapevolezza di poter curare lavoro e sfera privata nei tempi che desidera o che reputa congrui.
Il report analizza anche un altro aspetto importante che riguarda il tentativo delle aziende italiane di ridurre il gender gap sul lavoro, la disparità di genere di cui si parla molto anche in queste ore perché inserita in diverse misure contenute nel Recovery Plan, le iniziative del Governo italiano che sfruttano i tanti fondi europei previsti per la ripartenza dalla pandemia. <<Rispetto a quest’ultimo punto, i dati analizzati mettono in luce come l’impatto del coronavirus abbia pesato particolarmente sulle donne in termini di partecipazione economica, anche per questioni legate alla gestione quotidiana della vita familiare>>.
I redditi femminili restano in più bassi di quasi il 43% rispetto a quelli degli uomini, anche se gli ultimi dati del World Economic Forum registrano un miglioramento per l’Italia, passando dal 76esimo posto del 2020 al 62esimo su 156 economie studiate.
Insomma, la strada da fare è molta e piena di tappe intermedie, ma con lo sforzo di tutti gli attori in campo possiamo percorrerla fino a destinazione!