Personal Branding: boom di interazioni social e boom del social recruiting
Il tessuto social-culturale da 12 mesi a questa parte ha subito diversi stravolgimenti, come abbiamo raccontato spesse volte nella pagina LinkedIn di Dc Group. Il risultato sorprendente non è tanto il boom vertiginoso delle interazioni social, comprensibile per l’aumento tempo libero pro capite a disposizione, quanto l’efficacia del social recruiting: vola LinkedIn, ma nasce anche una fetta di recruiter molto attenta ad Instagram. Stabile Facebook, resta di nicchia Twitter.
Che i social media rappresentino un volano importante per il personal branding è un dato di fatto dall’avvento delle pagine e dei profili sulle piattaforme di networking; che abbiano raggiunto un flusso di dati e di feedback così importante in pochi anni non era scontato.
Dall’ultimo report Work Trends (a cura di The Adecco Group) si evince quanto il rating ed il piazzamento di un profilo social influenza la scelta dei recruiter e, al tempo stesso, quanto il tempo passato dai candidati su Internet per cercare offerte di lavoro sia aumentato. Sebbene l’efficacia dei canali digitali sia ancora percepita come deficitaria rispetto ai canali tradizionali, i numeri iniziano ad essere interessanti.
Risorse umane e addetti al recruiting utilizzano i social come finestre: domina LinkedIn, vera e propria lente di ingrandimento sul mercato del lavoro, ma salgono anche i numeri di Instagram per far incontrare domanda e offerta tra aziende e candidati. Incrociando i dati notiamo che i candidati spendono online più del 75% del loro tempo, in media, mentre i recruiter stazionano in rete il 55,7% dei momenti dedicati a scouting e analisi dei profili. I social media si avvicinano all’essere vere e proprie agenzie di collocamento online, mentre i recruiter li trovano molto utili per scremature iniziali: cercano in rete informazioni sulla digital reputation dei candidati, valutano “immagine” e atteggiamenti delle risorse e quasi la metà ammette di aver scartato una candidatura sulla base di una web reputation non idonea.
Già dal Work Trends Study del 2020, realizzato da Adecco in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è stato possibile rilevare le caratteristiche meno gradite dai recruiter all’atto di visualizzare il personal branding di un aspirante candidato:
- Informazioni non coerenti con il cv;
- Tratti emergenti della personalità;
- Contenuti discriminatori;
- Network scarso e profilo poco aggiornato;
- Commenti negativi sui datori di lavoro.
<<In generale, pur crescendo il ricorso ai canali digitali da parte dei candidati, la percezione della loro efficacia rimane bassa: i siti web sono usati dall’85% ma solo il 46% ha ricevuto un’offerta di lavoro attraverso mail; il 33% usa i social network ma solo il 12% è stato contattato attraverso questo canale; e il 60% usa altri canali (passaparola ecc.) che si sono dimostrati efficaci nel 57% dei casi. Il digitale viene dunque utilizzato più come canale di personal branding che direttamente come canale di incontro tra domanda e offerta di lavoro>> (Patrizia Licata – Corriere Comunicazioni sul Work Trends Study del 2020).
LinkedIn è oramai è un punto di riferimento per oltre la metà dei candidati (circa il 60%) per la ricerca di lavoro. Segue Facebook che sfiora il 32% e Instagram passa da 0% a 10% in 4 anni. Twitter, molto presente nel mondo dell’Information Technology, resta debole negli altri settori e non arriva al 5% come piazza utilizzata dagli aspiranti lavoratori.
Sui social c’è un flusso continuo tra candidati, che cercano annunci, rispondono a offerte e visualizzano le pagine delle aziende e i profili dei datori di lavoro e recruiter, che setacciano la rete in cerca di quid in più e in meno nel processo di selezione di una risorsa.
Gli esperti Hr usano meno i social rispetto al passato per la scelta definitiva del candidato, ma lo utilizzano molto nelle fasi preliminari.
“L’impatto dei canali social sull’attività di scouting degli Hr e sulla ricerca di un lavoro da parte dei candidati è in crescita costante. La rapida evoluzione del mondo del lavoro e l’affermazione dei canali digitali in tutte le attività quotidiane sia professionali che personali sta cambiando radicalmente le abitudini non solo di chi cerca un lavoro, ma anche dei professionisti che si occupano di risorse umane”, ha dichiarato Cristina Cancer, Head of Talent Attraction and Academic Partnership di The Adecco Group. “Nei prossimi anni sarà importante riuscire a leggere in anticipo gli effetti di questi cambiamenti per avvicinare la domanda e l’offerta di lavoro, facilitando la vita sia dei candidati che degli Hr”.
La digitalizzazione, anche in questo settore, permette di risparmiare tempo e denaro, seppur richiede skills più affinate da parte dell’ufficio Hr. Sembra scontato, ma non tutti sanno leggere correttamente ciò che c’è in rete.
Aumenta la ricerca per i profili non manageriali, scende quella dei middle manager e dei senior manager. Un ultimo aspetto molto interessante: l’80% degli esperti Hr sceglie i candidati passivi e scarta spesso i candidati attivi in rete.
I candidati passivi sono quelli che appaiono attivamente impegnati e felici nel ricoprire il loro incarico e non sono alla ricerca di altre posizioni. Difficili da raggiungere, ma spesso e volentieri garanzia di validità.
I candidati attivi invece, possono essere occupati in una posizione lavorativa oppure no, ma inviano cv e rispondono alle inserzioni “intensamente”, si mettono in mostra e sono super-reperibili. Questo comportamento non è ben visto dai recruiter che, 8 volte su 10, guardano altrove.