Ogni “scusa” è buona, soprattutto se si è leader dell’azienda

Maggio 5, 2021

Grandi aziende dai leader imperturbabili che non sbagliano mai non ne esistono e non sono mai esistite. Eppure, in passato, ma ancora oggi, l’immagine dell’azienda forte, del brand infallibile o del personaggio che non sbaglia mai e non ha bisogno di chiedere scusa è percepita come un punto di forza a livello di comunicazione. Ed è questo il primo sbaglio da non commettere…

Settimane, queste, contraddistinte da una fase di transizione per la comunicazione, dominata dal trend topic più longevo della storia recente, il Covid, ma con prime aperture, in tutti i sensi, anche a nuovi filoni di notizie, disposti a cavalcare tematiche che nulla hanno a che fare con la pandemia. Così nelle ultime settimane ha fatto capolino nelle notizie più rimbalzate quella della SuperLega, il campionato delle migliori squadre di Serie A organizzato da una dozzina tra le più affermate e vincenti società calcistiche della storia, ma morto sul nascere. Il tema e le conseguenze a livello mediatico ci danno lo spunto per introdurre l’argomento di oggi: il valore delle scuse sul lavoro, specie se provenienti dai piani alti della società, se non dal capo o dalla società stessa in una comunicazione ufficiale. Così ha fatto l’Arsenal, gloriosa e storica società londinese, all’indomani del fattaccio della SuperLega, utilizzando la piattaforma social dei cinguettìi, Twitter:

“Come risultato dell’ascolto tuo in particolare e di tutta la comunità calcistica in generale, ci stiamo ritirando dalla proposta di Super League. Abbiamo commesso un errore e ce ne scusiamo”. (Arsenal – 20 aprile 2021).

Ammissione dell’errore e scuse davanti a 17 milioni di utenti: un cambio di passo rispetto al passato che ha incontrato i favori del pubblico, cosa che invece non è avvenuta per chi, tra le società aderenti al progetto, è rimasta in silenzio o ha rilasciato comunicati neutrali.

L’Arsenal ha segnato il passo, seguito poi dal Liverpool, altra gloriosa e storica città inglese, con le scuse di John W. Henry, l’azionista americano di maggioranza dei “The Reds” del Liverpool, con l’ammissione in mondovisione del fallimento dell’iniziativa e della rivolta dei tifosi, i più sportivi, si dice, tra le nazioni con tradizione calcistica: «In queste quarantotto ore vi abbiamo ascoltati, vi ho ascoltati. Sono solo io il responsabile dell’inutile negatività che si è creata negli ultimi giorni. Tutto ciò che è successo è qualcosa che non dimenticherò e dimostra il potere che i nostri fan hanno oggi e giustamente continueranno ad avere. Se c’è una cosa che questa orribile pandemia ha mostrato chiaramente è quanto siano cruciali i tifosi per il nostro sport e per ogni sport. Lo capiamo vedendo ancora oggi ogni stadio vuoto. È stato un anno incredibilmente difficile per tutti noi. È importante che la famiglia calcistica del Liverpool rimanga unita e impegnata in ciò che abbiamo costruito nel tempo con gesti di gentilezza e sostegno. Posso prometterti che farò tutto il possibile per promuovere questo approccio. Grazie per avermi ascoltato».

Scuse che hanno riparato il danno, da quanto si evince dai sentiment sull’argomento, che vedono gli utenti accettare il dietrofront perché percepito come reale, vero, sentito e soprattutto inaspettato.

Non è un modo per affabularsi la propria community di tifosi, fan, follower, clienti, ma è un’azione che restituisce agli utenti una società, in questo caso, o un prodotto, un brand, un personaggio più umani, più raggiungibili, più simili.

Per l’Harvard Business Review questa era è l’“era conversazionale” e le aziende, stanno lavorando per imparare a gestire le relazioni, ammettendo i passi falsi, gli errori, gli sbagli e semplicemente chiedendo scusa e non accampando scuse!

«Oggi le organizzazioni guadagnano la fiducia venendoci in aiuto nei momenti più difficili. Non sono realtà perfette, ma il modo in cui fanno i conti con l’imperfezione è proprio la ragione per cui ci fidiamo di loro» ha dichiarato Seth Godin, intervistato sulle pagine del Sole24Ore da Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano.

 

 

“In fondo – ci dice lo stesso Giampaolo Colletti su Linc Magazine.it – è quanto ha scritto anche Bryan Kramer, CEO di PureMatter e uno tra i più importanti influencer al mondo. Nel suo best seller “Human to Human” ha raccontato proprio questo: ‘Ascolta la conversazione che corre online, decidi di spogliarti degli abiti dell’azienda, mescolati con i clienti, comprendi ciò di cui hanno bisogno. Ascolta per davvero e mostrati per quello che sei: un po’ imperfetto, autoironico, umano’.

In Dc Group crediamo molto negli esempi che possono arrivare dai comportamenti delle nostre risorse, soprattutto se partono da ruoli ben identificabili e radicati nell’organigramma societario. Quindi, niente scuse, se si commettono errori scuse ben accette!

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