La nuova ricerca di Randstad tra Gen Z e Millennial mostra come le nuove risorse preferiscano serenità e equilibrio personali a impieghi professionali mal sopportati
Un tempo non si poteva scegliere e tutt’oggi non tutti possono permettersi di scegliere di non lavorare. Anzi, le varie crisi che si susseguono in questi anni farebbero pensare che chi ha un lavoro, a costo di mandar giù bocconi amari, se lo tenga. Invece una ricerca di Randstad, tra le più importanti agenzie per il lavoro che si occupa di ricerca, selezione e formazione di risorse umane, ci mostra come tra le risorse della Generazione Z o Millennial l’approccio individuale al lavoro è cambiato: <<Le persone non sono più disposte a sacrificare la loro felicità e il loro tempo libero per un impiego che non le soddisfa, soprattutto le generazioni più giovani. Lo conferma uno studio condotto a livello globale da Randstad, una multinazionale olandese tra le più importanti agenzie per il lavoro al mondo. Il loro nuovo report, che ha coinvolto 35 mila persone di età compresa tra i 18 e i 67 anni da 34 Paesi diversi, tra cui anche l’Italia, parla di una forza lavoro «illuminata». E i risultati più interessanti riguardano proprio il gap generazionale che si sta delineando nell’approccio al lavoro tra gli under e gli over 35>> scrive Michele Morsa su Open.
Chi può scegliere, opta per una vita “più serena” a costo di frenare il percorso professionale. Tra gli intervistati, il 56% tra i 18 ed i 24 anni (Generazione Z) e tra i 25 ed i 35 anni (Millennial) sono convinti che un lavoro mal sopportato o un ambiente di lavoro percepito ostile non valgano la pena di essere vissuti, mentre solo il 38 % degli intervistati lascerebbe il lavoro per le stesse motivazioni nella fascia 55-67 anni.
Mancanza di serietà e spirito di sacrificio? In realtà il 75 per cento dei più giovani dichiara che il lavoro è una parte importante della propria vita, ma il desiderio è quello di cercare un lavoro che rappresenti il giusto equilibrio tra aspettative professionali e vita extra-lavoro, almeno in età giovane.
Questi dati fanno il paio con quelli che abbiamo analizzato il mese scorso sul fenomeno della «Great Resignation», che vede sempre più risorse dimettersi dal proprio impiego in cerca di un altro o di altro.
<<Un’attenzione rinnovata al benessere, quindi, ricercato non solo fuori dall’ufficio ma anche nell’ambiente lavorativo, dove si traduce anche nel desiderio di affinità con il proprio datore di lavoro sul piano dei valori sociali e delle cause sostenute, con le giovani generazioni, che sfiorano il 50 per cento, sempre in testa. In generale, il 43 per cento delle persone coinvolte ha dichiarato che non accetterebbe di lavorare per qualcuno che non condivide gli stessi valori sociali e ambientali, mentre il 41 per cento rifiuterebbe l’impiego anche nel caso in cui non vengano fatti sforzi per creare un ambiente lavorativo che privilegi la diversità e l’inclusività>>, leggiamo ancora su Open.
L’indagine «People at Work 2022: A Global Workforce View»
Alla ricerca di Randstad fa eco un’altra indagine, che questa volta riguarda indistintamente tutti i lavoratori. L’indagine «People at Work 2022: A Global Workforce View» condotta dall’ufficio studi di Adp — società che si occupa di buste-paga e soluzioni di gestione del capitale umano — che ha intervistato 33 mila lavoratori in 17 Paesi. Il dato più interessante riguarda il rientro dall smart working: 2 dipendenti su 3 cambierebbero lavoro se costretti a rientrare in ufficio.
Pur da punti di vista differenti, queste ricerche mostrano come la mentalità dei lavoratori sia inesorabilmente cambiata con l’esperienza della pandemia. È imperativo per i datori di lavoro comprendere i driver e il potenziale impatto di questo cambiamento e fare in modo che le risorse ritrovino nell’ambiente e nelle dinamiche di lavoro dei punti di riferimento importanti e vissuti con serenità e fiducia.