Ambizione professionale o volontà di dedicarsi alla famiglia, il dilemma sembra cogliere tanti lavoratori ad un certo punto della loro vita e carriera!
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C’è chi vuole dedicarsi di più agli affetti più cari, chi vuole fare esperienze nuove col proprio partner fuggendo dalla routine, chi vuole dedicarsi ai figli. Un argomento molto dibattuto quest’ultimo in Italia.
Recentemente sul tema si è espresso anche il premier Draghi: «Figli o lavoro, le donne non dovranno più scegliere. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e a un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro».
Draghi assicura che «tra i vari criteri che verranno usati per valutare i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) ci sarà anche il loro contributo alla parità di genere». Il rilancio del Paese, sostiene il Presidente del Consiglio, «non può prescindere dal coinvolgimento delle donne- Intendiamo investire, economicamente ma soprattutto culturalmente, perché sempre più giovani donne scelgano di formarsi negli ambiti su cui intendiamo rilanciare il Paese. Solo in questo modo riusciremo a garantire che le migliori risorse siano coinvolte nello sviluppo del Paese».
Ma è davvero così?
In un articolo di Maria Lombardi su Il Messaggero, tante testimonianze dello reale situazione che si percepisce in Italia
<<Quel dilemma che Draghi vuole che sia superato accompagna intanto la vita di tutte le mamme… Ma quand’è che alle mamme lavoratrici si chiederà di essere semplicemente donne con figli e con un lavoro. Né sante né guerriere. Quando si comincerà a valorizzare le “competenze” conquistate tra pannolini, biberon e consigli di classe, smettendo di punire chi le ha con fatica guadagnate. E soprattutto, quando arriverà il tempo in cui nessuna – ma proprio nessuna – sarà costretta a scegliere? Non è un caso se una su 4 lascia al primo figlio, se siamo al record negativo di nascite (meno 22% nel dicembre 2020 rispetto all’anno precedente, secondo i dati Istat di 15 città), se l’11% delle mamme non ha mai lavorato, se il 73% di chi si dimette ha famiglia.
Mi chiamo Asia, ho 24 anni, un bambino di 3. Mi è stato chiesto da un giorno all’altro di passare da un contratto part time ad uno full time. Ho dovuto rinunciare al lavoro, non riuscivo a conciliare.
Sono Gloria, 35 anni, di Pistoia, ingegnere informatico. Lavoravo in una multinazionale, ero incinta del terzo figlio e non mi hanno rinnovato il contratto.
Sono Paola, ai colloqui mi chiedevano di promettere di non restare incinta, ”pena” lavorare il minimo delle ore o essere licenziata una volta rientrata dalla maternità.
Sono Laura, tornata dalla maternità non trovo scrivanie e clienti. Due settimane prima che mio figlio fa un anno, mi comunicano che devo licenziarmi. Rifiuto. Mi licenziano.
Sono Samantha, lavoravo in un’azienda dove alle donne in maternità si faceva mobbing. Ora ho una partita Iva. Poche tutele, pochi asili nido. Dove li mettiamo i bambini per tornare a lavorare?>>.
Queste testimonianze fotografano un quadro “drammatico” e intervenire al più presto e in maniera drastica per cambiare rotta è d’obbligo, Le risorse a disposizione con il Pnrr sono tante, come tante le occasioni perse in questi anni per cambiare l’approccio e il modo di pensare di molte aziende e del mercato del lavoro in generale quando si affronta il percorso professionale di una donna che voglia dedicarsi alla famiglia.
In Dc Group anche solo trattare questo argomento come “un problema” è un paradosso. Attendiamo con molta fiducia i nuovi investimenti previsti dal Governo da qui al 2026 affinché il welfare aziendale in Italia raggiunga standard qualitativi degni di questo nome.