L’ultima proposta arriva dal Belgio: quattro giorni al lavoro a settimana, 3 giorni a casa. Pro, contro e fattibilità in Italia
In Belgio il Governo sta studiando una settimana col lavoro compresso, ovvero: quattro giorni a settimana di lavoro, ma con le stesse ore lavorate di cinque. È solo l’ultimo dei Paesi che prova a ricavare un giorno libero in più dividendo le ore del venerdì tra gli altri giorni. Da diversi anni, infatti, tante Nazioni stanno sperimentando nuovi ritmi applicati al lavoro: una settimana di quattro giorni a parità di salario e di ore, ma con un weekend lungo che può “ingolosire” tanti lavoratori. In fondo, sembrerebbe essere una misura che strizza l’occhio sia alla produttività, sia al contenimento dei costi e anche al worklife balance tanto reclamato dai dipendenti di ultima generazione. Dall’Islanda agli Stati Uniti, dalla Spagna alla Nuova Zelanda, fino al Giappone: vari ed eventuali i casi sperimentazione della settimana lavorativa di quattro giorni anziché di cinque in giro per il mondo, anche per cercare di capire se, con un giorno in più da dedicare a sé stessi, sia effettivamente possibile raggiungere un migliore equilibrio tra il benessere e la produttività.
L’idea del governo belga è quella di allungare le singole giornate di lavoro dalle attuali sette ore e mezza a nove e mezza. Come in una nota pubblicità di detersivi degli anni ’90, voi fareste lo scambio?
La proposta è dei liberali del premier Alexander de Croo e ha messo in allerta il Parlamento, il Governo, le imprese ed i sindacati. La scelta sarebbe su base volontaria e non modifica gli emolumenti percepiti. Pro e contro, le opinioni sono diverse.
<<Un giorno in meno al lavoro aiuterebbe l’ambiente riducendo il traffico dovuto al pendolarismo. Per i lavoratori porterebbe un migliore equilibrio tra vita privata e professionale e ridurrebbe i rischi di esaurimento. Sono scettici i sindacati che non trovano benefici in una riforma che non riduce il numero delle ore lavorate, ma ne cambia solo la distribuzione aumentando il rischio di incidenti sul lavoro facendo orari più lunghi. Per i genitori di ragazzi in età scolare sarebbe addirittura peggio avere giornata con più tempo fuori casa. Nove ore e mezza sarebbero molte di più di quelle indicate nelle convenzioni internazionali sull’orario di lavoro>> (Chiara Pizzimenti – Vanity Fair).
In Paesi virtuosi l’esperimento ha funzionato ed è divenuto realtà. Come in Islanda dove la settimana di quattro giorni lavorativi ha riscosso grande successo a Reykjavík. Con un periodo di osservazione di diversi anni (a partire dal 2015) il giudizio è oggi positivo per tutti gli attori in campo. La produttività in 4 anni non ne ha risentito, anzi è aumentata nella maggior parte dei posti di lavoro coinvolti. Anche in Spagna è in corso un progetto simile, con 200 aziende a fare da apripista e che per tre anni sperimenteranno la settimana corta.
Sia in Spagna che in Islanda si parte da una convinzione: l’orario del giorno che viene eliminato dal calendario lavorativo, non va spalmato nei giorni restanti, ma proprio eliminato. Diminuiscono i giorni, ma anche l’orario. <<Per molti esperti è l’unica via per migliorare davvero la qualità della vita dei lavoratori. Molti sono pronti anche a un taglio dello stipendio pur di lavorare meno ore. La spagnola Desigual ha annunciato che l’86% dei lavoratori ha detto sì a un referendum per una nuova settimana lavorativa di quattro giorni, tre in presenza e uno in smart working, con una riduzione dell’orario del 13,5% e un taglio in busta paga del 6,5%>> leggiamo ancora su Vanity Fair.
La sensazione è che il future of work sarà caratterizzato sempre più frequentemente da queste nuove formule di lavoro, con un weekend lungo che sarà realmente la prassi per tanti lavoratori. In Italia siamo indietro da questo punto di vista e ipotizzare oggi una proposta di legge che indirizzi aziende e lavoratori verso questo tipo di soluzione appare ancora lontana.