ANNO SABBATICO SUL LAVORO: LO STUDIO DI LINKEDIN

Aprile 13, 2022

Prendersi una pausa dal proprio lavoro, volontariamente o perché imposta, è una dinamica che si è diffusa moltissimo negli ultimi 2 anni. Cosa comporta lo stop & go sul lavoro?

I motivi che spingono tanti lavoratori a “staccare” dalla quotidianità lavorativa sono molteplici. Negli ultimi 2 anni, causa pandemia, si è trattato per la maggior parte dei casi totali di cause di forza maggiore: tante professioni e attività hanno subito uno stop perché il lavoro non c’era più, sospeso temporaneamente – e, ahinoi, in alcuni casi definitivamente – in attesa di uscire fuori dal tunnel delle restrizioni causa Covid-19. In mezzo a chi il lavoro se l’è visto sfilare da un giorno all’altro, è rimasta una buona percentuale di chi si è preso una pausa volontaria. Alla base, motivazioni diverse: stanchezza mentale, motivi personali, famiglia, voglia di cambiare, voglia di dedicare più tempo ad altre cose. Ma dopo il pit stop cosa succede?

<<LinkedIn ha diffuso i risultati di uno studio, che mette l’accento sulle pause di carriera, ovvero alle interruzioni di più di un mese nell’arco dell’attività lavorativa, sia imposte che volute. Strano a pensarci, ma in Italia, e nel mondo, è un fenomeno ancora vissuto con vergogna o con rassegnazione, ma che, nel giusto contesto, può rappresentare un’opportunità per migliorarsi>> osserva David Di Castro su uomoemanager.it

Dallo studio di LinkedIn emerge che il 27% degli intervistati ha osservato una pausa di carriera nella vita professionale per scelta, mentre il 18% ha dovuto prendere una pausa forzata al di là della propria volontà. La maggior parte degli intervistati (55%) non ha mai preso un periodo di stacco durante la carriera lavorativa.

Un altro dato interessante è il fatto che la pausa dal lavoro arriva in genere intorno ai 29 anni per le donne e invece a 31 per gli uomini. Questi anni coincidono molto spesso con fasi in cui la vita prende direzioni diverse, si prendono decisioni importanti, si cambiano priorità.

Una percentuale non di poco conto dichiara che alle soglie dei 30 anni ha osservato uno stop forzato a causa del burnout e stiamo parlando del 10% degli intervistati.

Negli ultimi anni, nell’era della transizione digitale e della nascita di nuove professioni, alcuni (il 12% degli intervistati) hanno scelto di mettere in stand by il percorso lavorativo per acquisire nuove competenze, percorsi di formazione, upskilling e reskilling e con successo:

<<Tra le hard-skill acquisite durante la pausa di carriera, c’è la capacità di pensare in modo creativo (28% donne, 24% uomini). Pazienza, consapevolezza di sé, organizzazione, empatia e assertività sono tra le soft-skill che le persone sostengono di essere riuscite ad acquisire o rafforzare in questi periodi di pausa tra un lavoro e un altro. Tra i millennial il 42% sostiene di aver imparato a gestire meglio il proprio tempo durante una pausa di carriera, mentre solo il 27% dei baby-boomer ha dichiarato lo stesso>> leggiamo ancora su uomoemanager.it.

In questi ultimi 2 anni avere sul proprio CV un periodo che coincide con una pausa dal lavoro non è più così penalizzante come in passato. Gli Hr Manager interpellati hanno dichiarato che oggi, nelle procedure di selezione, comprendono appieno chi dichiara di aver osservato un periodo di stacco e, anzi, al di là delle motivazioni, può essere anche un sintomo di maturità e capacità di ponderare con lucidità il percorso da intraprendere. In particolare, tra i responsabili delle risorse umane in aziende con più di 500 dipendenti, il 68% sostiene che vede positivamente chi ha avuto pause di carriera. Questo dovrebbe rassicurare chi è in cerca di lavoro che, sempre secondo le rilevazioni di LinkedIn, spesso omette il proprio anno sabbatico nel CV proprio perché pensa possa essere una variabile penalizzanti ai fini dell’assunzione in una nuova azienda.

Fabiana Andreani, Career Mentor & Senior Training Manager di RCS Media Group ha commentato: “Il primo passo per annullare lo stigma delle pause di carriera è di ordine culturale e corrisponde a far passare il fatto che le fasi della vita siano cambiate. Mentre nel XX secolo, era normale prevedere che, da una fase di formazione iniziale, si passasse ad una vita lavorativa senza soluzione di continuità fino alla pensione, attualmente lavoro e formazione si sovrappongono e si alternano in uno sviluppo personale che non si arresta neppure in età avanzata. Non solo, la durata stessa dei singoli rapporti di lavoro diminuisce e soprattutto le giovani generazioni non sono più disposte a fare a patti tra i valori di un’azienda e i propri. Tutto questo non può passare inosservato a un HR Manager in quanto, a prescindere dalla causa, qualsiasi break è ora da intendersi come un momento di consapevolezza, prezioso per capire come orientare la propria carriera, e per ripensare, soprattutto in momenti storici così delicati, alla centralità della salute mentale nella vita di ogni professionista”.

Insomma, anche l’anno sabbatico è stato giustamente sdoganato tra i recruiter. A tal proposito LinkedIn ha realizzato un nuovo strumento, il career break, attraverso il quale è possibile segnalare tra le proprie esperienze la pausa dalla carriera e descrivere motivi e conseguenze!

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